Evasione fiscale, società con uno della 'ndrangheta ...
Questo è l’ultimo capitolo del passato del padre del ministro Maria Elena Boschi,
un passato dal quale sembra esserci un flusso continuo di indagini,
rapporti evitabili (l’ultimo emerso è relativo agli incontri con Flavio
Carboni) che si traducono oggi in guai.
La vicenda è relativa a una compravendita effettuata nel 2007 e
questa volta i personaggi con cui Boschi senior rimane invischiato non
sono ex piduisti o massoni di varia risma, ma ritenuti vicini a clan mafiosi.
In particolare il socio di Boschi, Francesco Saporito,
è indicato dalla Direzione distrettuale antimafia di Firenze come uomo
legato alla ’ndrangheta.
Non solo. In questa nuova vicenda riappare
anche il procuratore di Arezzo, Roberto Rossi, appena archiviato dal CSM per quanto riguarda le inchieste sulla Banca Etruria
in riferimento alla posizione di Boschi che dell’istituto di credito è
stato prima consigliere d’amministrazione e poi vicepresidente.
Rossi
nel 2011 aveva iscritto nel registro degli indagati Boschi e il suo
socio Saporito per turbativa d’asta e riciclaggio per poi, però,
archiviare.
Nel 2007 Boschi era tra i soci
della cooperativa agricola Valdarno Superiore, di cui
era presidente. Attraverso questa società acquista dall’Università di
Firenze una importante tenuta agricola. L’intera proprietà viene poi
spezzettata tra i soci.
Boschi e Saporito ne acquisiscono una frazione
attraverso la società Fattoria Dorna, di cui il padre
del ministro detiene il 90%. Dopo qualche mese dall’acquisto la
rivendono al signor Apollonio per 460 mila euro.
Nel frattempo alla
Procura di Arezzo arriva un esposto in cui viene ipotizzato che attorno
al terreno si stanno compiendo degli “strani impicci”.
L’allora procuratore capo Scipio apre un fascicolo insieme al magistrato
Roberto Rossi per turbativa d’asta relativo alla prima vendita, quella
compiuta dall’Università di Firenze.
Gli inquirenti avviano le indagini e dispongono le perquisizioni
negli uffici e nelle abitazioni di tutte le parti coinvolte dalla
compravendita iniziale fino ad arrivare ai nuovi acquirenti. Quindi
fanno visita anche ad Apollonio.
E trovano le fotocopie di banconote
per complessivi 250 mila euro.
I magistrati ne chiedono spiegazione.
E
lui le fornisce: “Ho comprato da Boschi e Saporito per 460 mila euro ma
mi hanno detto che se non versavo 250 mila euro in nero e in contanti
non mi avrebbero ceduto la proprietà”.
Gli inquirenti, recuperato l’atto
notarile, scoprono che nel rogito la cifra di vendita è registrata in
210 mila euro e non 460 mila euro.
La differenza? 250 mila euro.
Così la
Procura di Arezzo nel 2011 manda la Guardia di Finanza anche a casa di
Boschi e Saporito.
Prendono l’intera documentazione. E trovano i
riscontri del pagamento in nero. Aprono un fascicolo per estorsione a carico dei due.
Non solo: inizialmente ipotizzano a carico di Boschi – titolare del
90% della società – anche i reati di evasione fiscale e violazione della
norma anti-riciclaggio.
Si rivolgono all’Agenzia delle Entrate per gli
accertamenti, ma scoprono che l’importo di 250 mila euro non può
essere
attribuito interamente a un socio ma deve essere diviso tra i titolari
della società e che così facendo, frazionando cioè la cifra, in base
all’articolo 4 della legge 74 del 2000 le singole parti contestabili
sono inferiori al tetto previsto per il reato penale. Quindi i
magistrati soprassiedono e, infine, archiviano anche l’estorsione.
Ma l’Agenzia delle Entrate va avanti. E apre due procedimenti
amministrativi: uno per evasione fiscale e uno per violazione della
norma anti-riciclaggio.
Boschi paga subito le due sanzioni
ed esce dalla società.
L’inchiesta della Procura di Arezzo, come detto,
è stata archiviata e anche questa vicenda sembra chiusa.
Ma riemerge
oggi che la figlia Maria Elena è diventata ministro.
fonte:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01/21/pier-luigi-boschi-venne-multato-da-agenzia-entrate-per-evasione-e-riciclaggio/2395939/
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